L’articolo intende considerare il nesso tra immaginari e politica dall’angolatura delle ricadute a livello territoriale del modello di sviluppo economico affermatosi a partire dal secondo dopoguerra e culminato con le dottrine neoliberiste e la globalizzazione economica. Dette ricadute evidenziano un carattere intrinsecamente ambivalente: accanto agli indubbi progressi socio-economici e culturali conseguiti, è però da registrarsi come il modello di sviluppo in questione abbia di fatto incoraggiato condotte e stili di vita irresponsabili, avendo omesso di considerare e rispettare le condizioni di fondo (innanzitutto ambientali) che ne permettevano l’esistenza. Pertanto, con il trascorrere dei decenni, quel fenomeno che si presentava, non solo in Italia, come un boom economico ha prodotto nei territori da esso direttamente e indirettamente interessati conseguenze problematiche di un certo rilievo. Tenuto conto di questo sfondo problematico, l'articolo verte sull’indagine di due fattori tra loro in qualche modo collegati: il tenace affermarsi del modello di sviluppo improntato alla crescita indefinita e il lento ma inesorabile sfilacciarsi dei legami sociali comunitari. Che quel modello economico si sia potuto affermare in maniera così capillare nonostante la propria problematicità e insostenibilità, si spiega (questo è il primo punto su cui vorrei insistere) anche in virtù del fatto di aver saputo far leva sull’immaginario individuale e sociale, presentandosi come una nuova e complessiva narrazione di senso, le cui parole d’ordine sono (erano) progresso, innovazione, benessere, liberazione dell’individuo. La fascinazione prodotta da questo immaginario è il fattore grazie a cui si riuscì dunque a conseguire un più elevato grado di benessere economico. Non si dovette però attendere molto per constatare che il successo di quest’operazione era stato conseguito a caro prezzo: la nuova narrazione era infatti riuscita a marginalizzare valori, pratiche e usanze tradizionali e costitutive della socialità umana, quali convivialità, dono, gratuità, solidarietà, comunità, reciprocità, e così via. Veniamo così al paesaggio e alla sua rilevanza per i temi qui discussi. Intanto è bene ricordare che per paesaggio non si intende solo la bella immagine di un luogo ameno. Al contrario, il paesaggio è una nozione teorico-pratica che si gioca nell’incontro tra l’essere umano e il territorio abitato e vissuto. In questo senso, l’incontro è almeno duplice: per un verso, esso si configura come una reciproca trasformazione in senso materiale e concreto (l’essere umano plasma il territorio e quest’ultimo pone all’essere umano dei limiti alla sua opera plasmatrice); per altro verso, si tratta di un incontro più immateriale – ma non per questo meno rilevante da un punto di vista pratico – mediato dal lavorio di immagini, narrazioni, proiezioni e percezioni individuali e sociali riguardanti un determinato territorio e le sue componenti oggettive. Il paesaggio presenta poi anche una dimensione temporale e diacronica, poiché riassume e mette in forma il patrimonio esperienziale e immateriale che ha plasmato il plesso di territorio e paesaggio, e che si è tramandato nel tempo. In quanto tale, il paesaggio ha dunque intimamente a che vedere con l’immaginario individuale e sociale, e non può che risultare compromesso e intriso delle vicissitudini legate al modello di sviluppo contemporaneo, oltreché delle relative problematiche. Tuttavia – ed è il secondo punto su cui vorrei insistere – ritengo che il paesaggio riservi anche altro: esso è invero un dispositivo concettuale plastico e malleabile, su cui si può intervenire proponendo per esempio una narrazione di senso rinnovata rispetto al mainstream economicistico contemporaneo e che sia in grado di affermarsi efficacemente a livello individuale e collettivo. Passo così all’ultimo punto: l’evidente insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo non può essere efficacemente contrastata a meno che contestualmente – e forse anzi preliminarmente – non si vada a decolonizzare e reindirizzare l’immaginifica narrazione che a tale modello si accompagna come suo côté culturale e motivazionale. Ritengo che tale ripensamento critico possa configurarsi come un cammino di ricerca individuale e sociale incentrato sulla nozione di paesaggio, le cui linee guida cercherò quantomeno di abbozzare.
L’ambiguo fascino del paesaggio e la decolonizzazione dell’immaginario
FRANZINI TIBALDEO, Roberto
2013-01-01
Abstract
L’articolo intende considerare il nesso tra immaginari e politica dall’angolatura delle ricadute a livello territoriale del modello di sviluppo economico affermatosi a partire dal secondo dopoguerra e culminato con le dottrine neoliberiste e la globalizzazione economica. Dette ricadute evidenziano un carattere intrinsecamente ambivalente: accanto agli indubbi progressi socio-economici e culturali conseguiti, è però da registrarsi come il modello di sviluppo in questione abbia di fatto incoraggiato condotte e stili di vita irresponsabili, avendo omesso di considerare e rispettare le condizioni di fondo (innanzitutto ambientali) che ne permettevano l’esistenza. Pertanto, con il trascorrere dei decenni, quel fenomeno che si presentava, non solo in Italia, come un boom economico ha prodotto nei territori da esso direttamente e indirettamente interessati conseguenze problematiche di un certo rilievo. Tenuto conto di questo sfondo problematico, l'articolo verte sull’indagine di due fattori tra loro in qualche modo collegati: il tenace affermarsi del modello di sviluppo improntato alla crescita indefinita e il lento ma inesorabile sfilacciarsi dei legami sociali comunitari. Che quel modello economico si sia potuto affermare in maniera così capillare nonostante la propria problematicità e insostenibilità, si spiega (questo è il primo punto su cui vorrei insistere) anche in virtù del fatto di aver saputo far leva sull’immaginario individuale e sociale, presentandosi come una nuova e complessiva narrazione di senso, le cui parole d’ordine sono (erano) progresso, innovazione, benessere, liberazione dell’individuo. La fascinazione prodotta da questo immaginario è il fattore grazie a cui si riuscì dunque a conseguire un più elevato grado di benessere economico. Non si dovette però attendere molto per constatare che il successo di quest’operazione era stato conseguito a caro prezzo: la nuova narrazione era infatti riuscita a marginalizzare valori, pratiche e usanze tradizionali e costitutive della socialità umana, quali convivialità, dono, gratuità, solidarietà, comunità, reciprocità, e così via. Veniamo così al paesaggio e alla sua rilevanza per i temi qui discussi. Intanto è bene ricordare che per paesaggio non si intende solo la bella immagine di un luogo ameno. Al contrario, il paesaggio è una nozione teorico-pratica che si gioca nell’incontro tra l’essere umano e il territorio abitato e vissuto. In questo senso, l’incontro è almeno duplice: per un verso, esso si configura come una reciproca trasformazione in senso materiale e concreto (l’essere umano plasma il territorio e quest’ultimo pone all’essere umano dei limiti alla sua opera plasmatrice); per altro verso, si tratta di un incontro più immateriale – ma non per questo meno rilevante da un punto di vista pratico – mediato dal lavorio di immagini, narrazioni, proiezioni e percezioni individuali e sociali riguardanti un determinato territorio e le sue componenti oggettive. Il paesaggio presenta poi anche una dimensione temporale e diacronica, poiché riassume e mette in forma il patrimonio esperienziale e immateriale che ha plasmato il plesso di territorio e paesaggio, e che si è tramandato nel tempo. In quanto tale, il paesaggio ha dunque intimamente a che vedere con l’immaginario individuale e sociale, e non può che risultare compromesso e intriso delle vicissitudini legate al modello di sviluppo contemporaneo, oltreché delle relative problematiche. Tuttavia – ed è il secondo punto su cui vorrei insistere – ritengo che il paesaggio riservi anche altro: esso è invero un dispositivo concettuale plastico e malleabile, su cui si può intervenire proponendo per esempio una narrazione di senso rinnovata rispetto al mainstream economicistico contemporaneo e che sia in grado di affermarsi efficacemente a livello individuale e collettivo. Passo così all’ultimo punto: l’evidente insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo non può essere efficacemente contrastata a meno che contestualmente – e forse anzi preliminarmente – non si vada a decolonizzare e reindirizzare l’immaginifica narrazione che a tale modello si accompagna come suo côté culturale e motivazionale. Ritengo che tale ripensamento critico possa configurarsi come un cammino di ricerca individuale e sociale incentrato sulla nozione di paesaggio, le cui linee guida cercherò quantomeno di abbozzare.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.